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Opinioni e consigli su tecnica, schemi, trucchi e rimedi, sempre sulla corsa

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Messaggio  demaggi Ven Dic 25, 2009 8:59 am

I trucchi per correre più forte

Sarebbe bello se ve ne fossero...; purtroppo non ci sono. Per andare più forte è necessario allenarsi duramente e con determinazione. Non sto parlando di vincere il campionato italiano di maratona; ognuno ha la sua scheda genetica e da quella non può prescindere. Potrà perciò migliorarsi, ed anche di parecchio, ma eccellere solo se è predisposto a ciò (ad esempio se è nato in Kenia).
Ciò premesso, dobbiamo anche dire che allenarsi non è sufficiente. Certi tipi d´allenamento, ad esempio, dopo un breve periodo iniziale, non producono più miglioramenti delle prestazioni; altri, possono facilmente portare ad infortunarsi.
La conoscenza dei fenomeni che regolano la complessa scienza dell´allenamento, può aiutare a migliorare le une e a ridurre gli altri.
Molti avranno sentito parlare di acido lattico, di soglia aerobica e anaerobica, financo di VO2 max. Per chi già sa di cosa si tratta, non devo aggiungere altro. Per gli altri cercherò di dire quello che, a furia di leggere, credo di aver capito, cercando di essere il meno noioso e il più sintetico possibile.
Vedremo anche, come dalla conoscenza di questi valori, si potrà arrivare a gestire i propri allenamenti, allo scopo di incrementare la propria velocità, sia nelle gare brevi che in quelle più lunghe.
I valori in gioco
Camminando, bruciamo soprattutto grassi (il carburante) con l´intervento di ossigeno (il comburente), e, a parte la stanchezza generale, potremmo protrarre questa rilassante attività anche per diverse ore, senza affanno respiratorio.
Aumentando l´andatura però, la richiesta (e di conseguenza il consumo) di ossigeno aumenta e il respiro si fa più frequente e profondo. Se poi iniziamo a correre, i fenomeni già descritti si accentuano (nel frattempo il carburante è divenuto una miscela contenente anche carboidrati).
Aumentando ancora la velocità, ci sarà un momento in cui l´ossigeno da solo non basterà più a bruciare il carburante necessario (ora soprattutto carboidrati) a sostenere il nostro sforzo; intervengono allora altri meccanismi anaerobici (senza l´apporto d´ossigeno) a sostegno, che comportano però la produzione di acido lattico.
L´innesco di questi meccanismi indica il raggiungimento della soglia aerobica.
La produzione di acido lattico non rallenta la salita del consumo d´ossigeno con l´aumentare dell´andatura; anzi, finché le richieste d´ossigeno da parte dell´organismo, permettono un equilibrio fra acido lattico prodotto e quello smaltito, possiamo ancora correre per parecchie decine di minuti.
Se, a questo punto però, aumentiamo ulteriormente l´andatura, lo sforzo potrà essere protratto solo per pochi minuti, perchè l´acido lattico si accumulerà sempre più nei muscoli, decretando un vero e proprio "blocco" della contrattilità muscolare.
L´inizio dell´accumulo indica il superamento del valore della soglia anaerobica.
A proposito, l´acido lattico viene rimosso dall´ambiente muscolare in tempi molto brevi (nell´ordine di qualche decina di minuti).
Perciò l´indolenzimento muscolare che insorge generalmente, il giorno successivo ad uno sforzo intenso prolungato, ha poco a che fare con l´acido lattico, ma è imputabile soprattutto alle micro lacerazioni del tessuto muscolare che originano principalmente da movimenti non perfettamente in linea. A seguito di tali lacerazioni può innescarsi uno stato flogistico e doloroso.
Per il calcolo della propria soglia anaerobica si utilizza di norma il test di Conconi che quasi tutti conoscono di fama. Senza indicare tutti i particolari tecnici esso si basa sui seguenti concetti:
L´aumento dell´impiego (e della richiesta) di ossigeno è un parametro che cresce in modo lineare all´aumentare della richiesta energetica.
L´aumento dell´intensità del lavoro produrrà un aumento altrettanto lineare della frequenza cardiaca. Quest´ultimo seguirà l´incremento della richiesta energetica fin tanto che tale energia è coperta dal meccanismo aerobico.
Nel momento in cui l´apporto d´energia per via ossidativa non è più in grado di coprire le richieste, queste saranno soddisfatte essenzialmente per via anaerobica; a questo punto, la frequenza cardiaca non subirà ulteriori incrementi.
Tale momento individua il punto di deflessione e rappresenta esattamente il livello della soglia anaerobica individuale.
Analogamente, la massima potenza aerobica (o massimo consumo d´ossigeno o VO2Max) indica sino a che punto il nostro organismo è in grado di compiere lavoro modulando il consumo d´ossigeno. Oltre questo valore, il sistema aerobico non sarà più capace di aumentare il consumo d´ossigeno con l´aumentare dell´andatura.
Questo valore rappresenta d´altra parte solo un limite massimo teorico e non potrà mai essere raggiunto in condizioni completamente aerobiche. Ad impedirlo c´è la soglia anaerobica che normalmente si attesta sul 75% del massimo consumo d´ossigeno.
Effetti dell´allenamento
Con l´allenamento si modifica il metabolismo (si consumano più grassi e si elimina meglio l´acido lattico).
Questo consente di migliorare sia la massima. potenza aerobica (al massimo di circa il 15-20%) che la soglia anaerobica (portandola fino all´85% della massima. potenza aerobica).
Avere i valori più elevati possibili di:
 - massimo consumo d´ossigeno
 - velocità di soglia anaerobica
 - velocità di soglia aerobica,
ci garantisce perciò, i migliori risultati possibili, correlati alla nostra età, alle nostre intrinseche potenzialità e a tanti altri parametri estemporanei.
Il massimo consumo d´ossigeno
Può aumentare anche del 20%; sono utili a questo scopo le ripetute brevi in salita (ma lontano dalla gara e dopo aver migliorato le altre caratteristiche).
La velocità di soglia anaerobica
Può essere migliorata (anche di qualche km/h) correndo a velocità vicine alla soglia anaerobica, su ripetute di alcuni minuti (ad es. 5-6 ripetute sulla distanza di un chilometro), oppure con un tratto unico (corto veloce di 30´-40´).
La velocità di soglia aerobica
La differenza con la velocità di soglia anaerobica può essere anche di pochi secondi per chilometro (per gli atleti di vertice da 3´ a 3´08" per km).
Tale differenza diventa piccola se:
 - i muscoli imparano a consumare tanti grassi per ogni minuto
 - l´organismo impara a smaltire tanto lattato per ogni minuto.
E´ importante che i muscoli, a pari velocità, consumino più grassi. La quantità di grassi consumata per ogni minuto è chiamata "potenza lipidica". E´ una delle caratteristiche che l´allenamento migliora se si corre ad intensità che determinano:
 - un buon consumo di grassi/min
 - un buon consumo di grassi totali (si devono svuotare i depositi di grasso nei muscoli)
I tipi d´allenamento che vanno bene per migliorare la potenza lipidica sono:
 - il medio
 - il lungo lento.
Per migliorare la potenza lipidica, le sedute lunghe devono progressivamente allungarsi, per consumare tutti i grassi contenuti nelle fibre muscolari.
La potenza lipidica non migliora se la velocità del lungo o del lunghissimo è più lenta del 15% di quella della maratona.
Da questo punto di vista, le andature troppo lente servono a poco!
Per migliorare l´utilizzo di lattato da parte dei muscoli, invece è bene alternare:
 - tratti di corsa un po´ più veloci della soglia aerobica, durante i quali si produce più lattato del consueto
 - tratti più lenti, durante i quali i muscoli lavorano più blandamente e possono "mangiare" il lattato.
Per lo stesso motivo, anche il recupero che si effettua tra una ripetuta e l´altra, va fatto correndo!

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Il corridore è come il vino: migliora con gli anni
Vorrei parlare del tempo che passa. Purtroppo alla mia età è un tema ricorrente.
Sappiamo che con l´avanzare dell´età la nostre prestazioni si riducono; i motivi sono la perdita di massa muscolare, la riduzione nella capacità, da parte del sistema cardio vascolare di trasportare e utilizzare ossigeno, la riduzione delle capacità respiratorie e forse anche qualche altro. Però se, pratichiamo attività sportiva, manteniamo una corretta alimentazione e uno stile di vita attivo, cioè, se invecchiamo bene, forse non dobbiamo disperarci.
Possiamo verificare se stiamo invecchiando bene anche valutando, attraverso le nostre prestazioni, l´aderenza ad un modello di invecchiamento ottimale.
Combinando i dati elaborati dall´associazione di Roberto Albanesi, con quelli recuperati dalla letteratura scientifica (ad esempio le tabelle della World Masters Association, che non si discostano molto da quelle che la nostra FIDAL usa per le gare in pista), è possibile affermare che un invecchiamento ottimale segue approssimativamente questi parametri:
1. Prima dei 40 anni (prima età critica ottimale) il coefficiente è 1, cioè non si ha rallentamento nelle prestazioni.
2. Fra i 40 e i 60 anni (seconda età critica) il coefficiente di invecchiamento aumenta di 0,0075 per anno. Cioè in questa fascia, se si va a 4´/km (240 secondi al km), l´anno dopo si andrà a 241,8, cioè a 4´01"8.
3. Dopo i 60 anni il coefficiente di invecchiamento varia di 0,01 per anno. Cioè in questa fascia, se si va a 5´/km (300 secondi al km), l´anno dopo si andrà a 304",5, cioè a 5´04"5.
Nel mio caso, ricordo che prima dei 40 anni avevo sui 5000 m tempi intorno ai 18´ 20"; ecco cosa avrebbe dovuto succedere e cosa deve ancora verificarsi:

Anni Tempo Coeff.
40 18´20" 1
45 19´01" 1,0375
50 19´43" 1,075
55 20´24" 1,1125
60 21´05" 1,15
65 22´00" 1,2
70 22´55" 1,25
75 23´50" 1,3
80 24´45" 1,35

Albanese afferma che si tratta di dati indicativi ottimali per cui è piuttosto difficile rispettare la tabella. Però cercare di andarci vicino può essere, negli anni, uno stimolo molto motivante.
Personalmente non ho, attualmente, riscontri sulla distanza, ma considerando la mia età (66 anni), il tempo calcolato (22´ 02") presuppone una media di circa 4´24"/Km che mi sembra del tutto plausibile.
Sui 10000 m dove invece ho molti riscontri, secondo la tabella, le mie prestazioni attuali sono migliori di quelle dei miei 40 anni, ma all´epoca avevo appena iniziato a correre e i 10000 sono una distanza piuttosto difficile. Con i miei tempi attuali (circa 45´) , probabilmente, all´epoca, avevo il potenziale per il tempo di 37´ 30" , una media cioè di 3´ 45"/km, che risulterebbe dai calcoli, ma non ricordo di averlo mai fatto; forse non ho avuto la possibilità al momento giusto, o come è più probabile, oggi ho una maggiore capacità di soffrire.
Invito gli amici, in specie quelli che hanno superato abbondantemente i quarant´anni a fare gli stessi conti che ho fatto io. Potrebbero accorgersi di essere migliorati con l´età.

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Il muro del trentesimo chilometro
Dicesi muro, il crollo improvviso che si manifesta dal trentesimo al trentacinquesimo chilometro. Quando si incontra il muro, o non si riesce a portare a termine la gara, o si conclude con enorme fatica e notevole degrado della prestazione. Con il tempo ho capito che il calo e, in certi casi il crollo, attribuito semplicisticamente all´esaurimento delle scorte organiche di zuccheri, è provocato quasi sempre da due fattori:
 eccessiva velocità di gara nella prima parte;
 scarso o errato allenamento.
Chi pensa di correre la maratona sotto le 3h30´, incappa più spesso nel primo errore; gli altri, con maggiore probabilità incorrono nel secondo. Purtroppo molti di noi non si fanno mancar niente e assommano le due cause.
Ci possono essere vari motivi per cui si parte troppo veloci:
1. sopravvalutazione del proprio valore teorico. Non si può pensare di valere un certo tempo, se le prestazioni sulle distanze minori non confortano questa valutazione; realisticamente chi vale 1h 45´ sulla mezza (media delle prestazioni degli ultimi sei mesi) non varrà mai sulla maratona meno di 3h 51´ (tempo sulla mezza per 2,2). Ogni proiezione più ottimistica è densa di funesti presagi.
2. Sopravvalutazione del proprio valore pratico. Anche se saremmo perfettamente in grado di realizzare il tempo teorico previsto, potremmo comunque scontrarci con il muro, molto semplicemente perché non abbiamo a disposizione quantità sufficiente di carboidrati per terminare la gara; non abbiamo cioè imparato a bruciare i grassi e le proteine per terminare la prova senza crolli.
Per farlo, occorre che il corpo si abitui a lavorare in carenza di zuccheri, appunto con gli allenamenti lunghi fino a 34 o 36 km; tanto più il nostro ritmo durante il lungo si avvicinerà al ritmo gara della maratona, tanto maggiormente il nostro organismo si abituerà ad utilizzare una miscela ricca di grassi; occorre cioè rendere
"normale" la velocità di maratona, non una velocità 1´/km più lenta. Ecco perché i lunghissimi devono essere svelti (ritmo gara +7-10").
Chi fa i lunghissimi troppo lenti impara a bruciare i grassi alla velocità dei lunghissimi, ma poi quando correrà a ritmo maratona (nettamente più veloce di quello dei lunghissimi) ritornerà a bruciare i carboidrati.
Chi, invece corre correttamente i lunghissimi, e poi anche in maratona tiene il ritmo giusto, quello al quale il nostro corpo inizia ad impiegare, fin dal primo km, una miscela di zuccheri e grassi, quasi certamente non incontrerà il muro.
Sbagliare anche di soli 5"/km il valore pratico farà sicuramente incontrare il muro. Nessun professionista parte 5"/km più veloce di quanto valga.
Per chi pensa che in maratona "bisogna mettere fieno in cascina" perché poi si cala comunque, è bene ricordare che gli atleti di vertice non calano affatto, anzi spesso, corrono la seconda parte, più veloce della prima.
3. Incoscienza. Non so come altro chiamarla, ma è quella voglia di fare comunque un tempo che, razionalmente avevamo considerato irrealizzabile, ma che in gara, carichi di adrenalina, ora ci sembra possibile. Allora gettiamo il cuore oltre l´ostacolo, seguiamo un pace-maker con un tempo improbabile, o un compagno che, nella mezza ci dà, di norma, dieci minuti. Sfracellarsi contro il muro in questi casi, non è solo probabile, è sicuro.
Per quanto attiene l´allenamento, il discorso è un pò complesso ed è difficile sintetizzare; dirò solo quelli che, secondo me, sono gli errori più comuni:
a) Quantità di km settimanali inferiore a 60.
a) Lunghissimi - Meno di tre lunghissimi e nessuno di circa 35-36 km nei due mesi prima della maratona.
b) Sovrappeso e errata alimentazione
c) Velocità - lunghissimi corsi in modo non uniforme e piuttosto lenti (ad un ritmo superiore al ritmo gara+10")
d) Ultimo lunghissimo - Di solito il più lungo, effettuato prima di 18 gg. dalla gara.
Buona corsa a tutti


Ultima modifica di demaggi il Ven Feb 19, 2010 7:05 pm - modificato 4 volte.
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Messaggio  fabrizio Ven Dic 25, 2009 8:59 am

Grazie Raffaele per questi buoni consigli.....! Proverò a metterli in pratica speriamo bene
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Messaggio  demaggi Sab Gen 02, 2010 5:26 pm

L’INFORTUNIO
Mi sembra che sia arrivato il momento di parlare di un argomento che ricorre con molta frequenza nei nostri discorsi.
Beninteso, non sono un medico e nemmeno un fisioterapista, perciò prendete ciò che dirò con beneficio d’inventario.
Nella mia lunga carriera però, ho subito tali e tanti infortuni, che hanno influito notevolmente sulla stessa. In realtà mi sembra di non aver mai potuto correre con continuità per più di qualche mese, senza infortunarmi.
Ritengo perciò di essere un esperto, forse non dei rimedi, ma sicuramente delle cause, che hanno determinato gli infortuni stessi.
E sapete qual è, a mio avviso, la causa principale in caso di infortunio, della mancata guarigione o delle complicanze che non ci aspettavamo, ma che regolarmente si verificano?
Le ENDOFINE.
Si, proprio loro, ma che cosa sono le endorfine?
Sono la nostra droga, ovviamente non assunta, ma prodotta dal cervello durante gli esercizi fisici di resistenza.
La sostanza prodotta, simile alla morfina, ha un effetto analogo, anestetizzante e euforizzante.
Quando si effettua un lavoro di più di 30-40 minuti con una certa intensità, si attiva il rilascio delle endorfine che vanno ad agire proprio sui centri cerebrali deputati alla percezione del dolore.
La corsa, sotto l’effetto delle endorfine, si trasforma in piacere, e anche i dolorini che avevamo avvertito ad inizio allenamento, scompaiono.
Le endorfine inibiscono le sensazioni dolorifere, così anche sotto infortunio, continuiamo a correre, convinti che il nostro dolore non sia grave “dato che riscaldandosi passa”, mentre invece non facciamo altro che aggravarlo, correndo quando sarebbe necessario riposare.
Ma le endorfine, hanno anche un altro effetto: inducono la “dipendenza dall’allenamento”, per cui, nascondendo anche a noi stessi ciò che a tutti appare evidente, continuiamo ad allenarci in preda ad una sorta di ossessione.
Correndo da infortunati, molto spesso causiamo l’aggravarsi dell’infortunio, ma anche l’insorgere di nuovi infortuni, dato che, cercando di non forzare la parte dolente, andiamo a sovraccaricare un altro organo.
Ma quand’è che possiamo ragionevolmente dire di essere infortunati?
Le sintomatologie più frequenti sono le seguenti:

 Con il riscaldamento dolori e fastidi si attenuano o passano, ma con il proseguire degli allenamenti, si fanno sentire sempre più, spesso anche a riposo.
 Malgrado il riscaldamento, il dolore non si attenua, o si attenua solo di poco, tant’è che siamo costretti a correre praticamente con una sola gamba.
Se si verifica anche una sola delle situazioni dianzi riportate, possiamo dire di essere infortunati.
Cosa occorre fare in caso di infortunio?
Il riposo sportivo è d’obbligo, ma se il dolore con una terapia di antinfiammatori di pochi giorni (non più di due o tre), scompare completamente, vuol dire che non era grave, se invece continua, bisogna fermarsi e correre ai ripari.
A chi rivolgersi?
All’ortopedico sportivo, al medico sportivo o anche al fisioterapista, scegliendo se se ne ha la possibilità non colui che costa di più, ma quello che opera da più anni in campo sportivo ed ha perciò maggiore esperienza.
Esigete una diagnosi.
Il terapeuta che chiede di svolgere uno o più esami prima di fare una diagnosi, probabilmente non ha capito nulla. Gli esami dovranno, se mai, convalidare una diagnosi, non farla.
Se un ortopedico dovesse fare una diagnosi esaminando una risonanza o una radiografia delle mie ginocchia o della mia schiena, probabilmente si chiederebbe come faccio ancora a camminare e mi imporrebbe di non correre più. In realtà i risultati degli esami sarebbero gli stessi con o senza l’insorgenza di un infortunio, perciò, al fine di una diagnosi, assolutamente ininfluenti.
Per concludere, la prassi da seguire è:

 Diagnosi
 Riposo sportivo e cure opportune (non correre, ma semmai esercitare i distretti muscolari non interessati dall’infortunio, svolgendo esercizi di mobilità articolare)
 Visita di controllo (eventuali esami)
 Ripresa prudente

Interrompere il riposo con delle “prove” serve solo ad allungare i tempi di recupero.
La necessità di eventuali presidi ortopedici (plantari o quant’altro) andrà verificata solo dopo la guarigione, per correggere eventualmente, la causa fisiologica che predispone all’infortunio, ma mai durante il corso delle cure.
Infine, abbiate fede. Anche quando avete subito un infortunio che vi sembra tanto grave da non permettervi di correre mai più, nel 99,9 per cento dei casi, non è così. Personalmente ho subito decine di infortuni. In svariate occasioni, illustri luminari, mi hanno consigliato di smettere o passare ad altri sport, ma sono ancora qui.
Buona corsa a tutti


Ultima modifica di demaggi il Dom Gen 24, 2010 3:59 pm - modificato 1 volta.
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Messaggio  Robertot Dom Gen 03, 2010 5:47 am

Quando ho letto il titolo del messaggio credevo che ti fosse accaduto qualcosa, poi per fortuna leggendo il tutto ho tirato un sospiro di sollievo lol!

Quanto hai scritto è sacrosanto, non fa una piega e avvalorando in parte (poi spiego il perchè) tutto quello che hai scritto riporto la mia esperienza che calza "a pennello".

4 anni fa ho ripreso a correre (oddio siamo nel 2010, qundi ormai 5 anni fa tongue ) dopo oltre un decennio di inattività completa (e 15kg di peso accumulati Evil or Very Mad ).

Ho ripreso a correre con delle vecchie scarpe e ben presto mi sono reso conto che dovevo cambiarle, così ho ripreso le mie fedeli "asics" che mi hanno accompagnato da quando avevo 17 anni. Non so quanti km ci ho percorso ma dopo 8 mesi era il momento di cambiarle, così sono tornato a prenderne un nuovo paio, ma stavolta ne scelsi un paio più costoso, perchè stupidamente pensavo: maggior costo, migliori scarpe.
Giuro che non sapevo assolutamente che esistessero scarpe diverse in base all'appoggio del piede, quindi non prestai alcuna attenzione a questo particolare, l'unica cosa che posso dire è che tutte le volte precedenti che avevo comprato le mie amate asics, appena indossate sentivo che era la scarpa giusta per le sensazioni che mi dava, ma stavolta non fu così, le sentivo strane, non so bene spiegarne il motivo, ma il feeling non era lo stesso, però continuavo a ripetermi: costano di più, quindi sono sicuramente migliori !!!

Ebbene le mie sensazioni non erano sbagliate, infatti correndoci non mi trovavo affatto bene, però continuavo a dirmi: sono nuove, mi ci devo abituare, poi costano molto quindi sono per forza migliori Exclamation

Insomma il 29 luglio del 2006 in gara ho subito il mio primo infortunio (mai accaduto prima, nemmeno quando facevo triathlon), prendendo una storta ad una caviglia.
Da qui ho iniziato a fare un errore dopo l'altro:

per ricominciare a correre il prima possibile, dopo 15 giorni ho ricominciato a correre con una cavigliera (la caviglia era ancora un pochino gonfia) e sempre con quelle famose scarpe. Nonostante a fine allenamento ho avvertito un dolore al dorso del piede proprio in corrispondenza della fine della cavigliera, ma chiaramente l'ho ignorato e ho continuato a correre. Dopo la gara ostia in corsa per l'ambiente di settembre, ho fatto un lungo stop fino a fine anno, perchè il dolore era talmente forte che mi faceva male anche a camminare.

Lo stop servì, perchè il dolore era scomparso del tutto, quindi il 2 gennaio ripresi a correre (sempre con le stesse scarpe). Iniziai a correre tutti i giorni, forzando sempre di più e continuando con la stupidità, caricavo maggiormente l'appoggio con l'altro piede per paura che mi riprendesse il dolore, così in pochi giorni mi venne un bel dolore sotto il piede (in questo caso il destro, mentre il dolore precedente era al sinistro) e da lì è iniziato il mio calvario.

Dopo 2 mesi (marzo 2007) che il dolore non accennava a passare decisi di rivolgermi al miglior fisioterapista sportivo di ostia (preferisco non dire il nome), il quale mi disse che avevo una periostite e non ricordo cos'altro e mi consigliò di fare degli esercizi per rinforzare una parte del piede che a suo avviso era troppo "carente". Con l'inizio di questi esercizi (e l'applicazione di ghiaccio come consigliato) mi venne anche un dolore sul dorso del piede e sotto il dolore continuava, ritornato dal fisioterapista mi disse che dovevo insistere e che era normale il dolore perchè stavo rinforzando una parte troppo debole e di mettere un antidolorifico subito dopo il ghiaccio.

Dopo circa un mese, il dolore era peggiorato, così mi sono rivolto al fisioterapista che qualche anno prima mi fece la riabilitazione per un polsoo che mi ero rotto cadendo da una scala, il quale mi consigliò di mettere i plantari, così mi mandò da un centro a monteverde e misi i plantari. Da subito non mi trovai bene con questi plantari, infatti poi si rivelarono sbagliati, così sempre lo stesso fisioterapista mi mandò da un ortopedico in prati dicendomi che era uno dei migliori di Roma: ebbene dopo 4 minuti di visita e 160 € affraid mi disse che avevo una "sesamoidite" cioè infiammazione dei sesamoidi e che non avrei più potuto correre in vita mia.
Ero disperato, continuavo a prenderla con me stesso per il decennio di inattività, pensavo, come farò a fare una corsetta con i miei figli ecc.
Così decisi di andare da un altro ortopedico (un luminare) che curò mia sorella ad un piede e che molti ne parlavano come un genio, ma ahimè, dopo 200 €, una infiltrazione e una risonanza magnetica, altri plantari (anche questi in seguito si rivelarono errati) mi disse: non so più cosa dirti !!!
Parlando poi con uno zio mi consigliò un ortopedico che a lui e alle figlie risolse vari problemi, questo mi prese "in cura" per diversi mesi, fu molto onesto perchè non mi chiese mai un soldo, ma ahimè anche lui non sapeva + che pesci prendere, l'ultimo tentativo mi fece fare delle sedute di fisioterapia, ma ahimè non servirono a nulla perchè arrivato a 7, il dolore anzichè diminuire aumentava!
Ormai ero rassegnato sia a tenermi il dolore e sia a non poter più correre, finchè un giorno un miracolo:
andai a fare un'assistenza a casa di un primario (al telefono non avevo capito di quale specializzazione fosse), quando lessi che era di ortopedia subito chiesi se poteva darmi un'occhiata e vidi subito in lui una persona molto competente ed esperta.
Con una prima occhiata mi disse che i plantari non andavano bene e che addirittura la risonanza magnetica non lo convinceva, mi spinse in un punto preciso sotto il piede e mi disse: così avverte ancora dolore?
Beh, dopo oltre 2 anni, in quel preciso momento sentii una sensazione mista di gioia, appagamento e speranza, premendo in quel punto non sentivo alcun dolore, quindi lui mi disse che i plantari dovevano avere un rialzo proprio in quel punto per "scaricare" la parte dolente.
Andai così vicino casa, perchè passando vidi un centro dove facevano plantari e la meraviglia fu che il tecnico conosceva il mio ortopedico, quindi parlando tra di loro mi fecero dei planatri "perfetti" (che tutt'ora ho).
Il dolore era diminuito ma non sparito, così l'ortopedico programmò 3 infiltrazioni di antidolorifico, anestetico e cortisone e trovò anche il punto incriminato che non era sotto la pianta del piede, bensì la parte esterna del piede, dicendomi che il dolore spesso si riflette in altre parti (ecco perchè tutti gli altri non riuscivano a risolvere).
Ebbene il 10/08/2008 ho ripreso a correre (con i plantari) e da allora a parte qualche inflluenza, qualche affaticamento muscolare dovuto a sovraccarico di allenamento non ho più smesso.
Solo nella parte finale del 2009 mi era tornato un pò di dolore con la preparazione della maratona, quindi sono tornato subito dall'ortopedico che mi aveva salvato, e lui mi ha consigliato di evitare distanze lunghe per non sovraccaricare il piede (quindi per ora addio alle maratone), infatti dopo 8 giorni di stop, il dolore è scomparso e ho ripreso a correre senza problemi.

Il mio racconto per dire che purtroppo affidarsi a medici competenti ed onesti è un vero problema, perchè si contano sulla punta delle dita, e si deve essere veramente fortunati
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Opinioni e consigli su tecnica, schemi, trucchi e rimedi, sempre sulla corsa Empty I CRAMPI MUSCOLARI

Messaggio  demaggi Ven Feb 26, 2010 10:25 am

I crampi si possono evitare?
Nelle gare lunghe (in particolare la maratona), è facile essere assaliti da fastidiosi crampi muscolari, specialmente verso la fine della gara, quando maggiormente cominciamo a sentire la fatica.
Il crampo è causato dalla contrazione involontaria e molto dolorosa di uno o più muscoli. Tra le molte cause del crampo, quelle che ci interessano maggiormente sono fondamentalmente due:
• Squilibrio chimico, nell’ambito del meccanismo di contrazione del muscolo, che risponde così in modo anomalo. E’ causato da sudorazione eccessiva,
• Fatica, che conduce ad alterazioni biochimiche che comportano l'incapacità da parte del muscolo di contrarsi in modo corretto.
Di queste, quella più frequente è senz’altro la seconda. Infatti, anche in condizioni di elevata sudorazione e perciò di disidratazione, a riposo il crampo non si verifica praticamente mai; si può verificare invece quando ci si sottopone ad uno sforzo intenso, anche se non ci facciamo mancare acqua e sali.
Ovviamente, se sommiamo i due fattori (sforzo e disidratazione), gli effetti si moltiplicano. Perciò, cerchiamo di correre non eccessivamente imbottiti, tanto dopo cinque minuti avremo comunque caldo, ed evitiamo come la peste, gli indumenti che non fanno traspirare, come k-way e tute in acetato, anche se piove.
Il fatto che i crampi si presentino regolarmente in occasione di sforzi prolungati, anche in condizioni climatiche ottimali, è una dimostrazione ulteriore che si tratta di fenomeni non necessariamente legati alla sudorazione.
Perciò, sovraccaricarsi di sali nella speranza di prevenire in questo modo il problema, può essere inutile e oltretutto fuorviante perché non incide sulla reale natura dello stesso.
Quando si parla di fatica, non ci si riferisce necessariamente ad un valore assoluto, ma ad un valore che in quel momento è esagerato rispetto al grado di allenamento dell’atleta.
Perciò il modo migliore per evitare i crampi è quello di allenarsi adeguatamente, inserendo progressivamente nelle sedute, distanze prossime a quella che poi percorreremo in gara e ritmi anch’essi prossimi a quelli che terremo in gara.
Se comunque il crampo si verifica? Se potessimo fermarci, in genere il crampo dopo pochi minuti passa, ma non è il nostro caso. Allora bisogna intervenire: se è il polpaccio ad essere dolente, bisogna sdraiarsi, stendere la gamba, afferrare le punte delle dita del piede e tirare con forza verso di se. Se si tratta del quadricipite, stando in piedi, poggiati ad un sostegno per mantenere l’equilibrio, piegare il ginocchio e afferrate le punte delle dita del piede con il bracccio opposto, tirarle verso l’alto. Per i muscoli posteriori della coscia dobbiamo farci aiutare. Mentre siamo sdraiati, qualcuno deve alzare la nostra gamba e spingere in basso, con forza, il ginocchio.
Non usare ghiaccio. Il ghiaccio va usato solo nel caso di contratture, ma questo è un altro discorso.
Purtroppo o per fortuna, il crampo è reversibile; così, come è possibile farlo passare, è altrettanto facile che torni, se le condizioni che lo hanno provocato non sono cambiate.
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Opinioni e consigli su tecnica, schemi, trucchi e rimedi, sempre sulla corsa Empty L’alimentazione pre-maratona

Messaggio  demaggi Dom Mar 14, 2010 3:27 pm

E’ dimostrato ormai fuori ogni ombra di dubbio che la tanto famosa dieta dissociata (tre giorni di proteine e grassi più tre giorni di carboidrati) non ha una grande utilità, e in molti casi serve solo a scombinare il nostro intestino e, alla fine, ad abboffarsi di carboidrati.
Bisogna fare attenzione, perché i carboidrati in eccesso, come sappiamo, si trasformano in grasso, provocando un conseguente aumento di peso, che certo non ci favorirà in gara.
La dieta ipoglicidica, per chi vuole farla, può essere limitata al solo mercoledì, in cui, oltre che allenarci, assumeremo solo carne (o prosciutto) e formaggi, evitando i carboidrati. Questo farà sì che il fisico, affamato di carboidrati, prosciugati dalla dieta e dall’allenamento, tenderà ad accumularne più del consueto il giorno dopo, quando ci alimenteremo normalmente.
I giorni successivi, più che aumentare in maniera indiscriminata i macronutrienti, che il nostro organismo, superato il limite massimo delle scorte di glicogeno, trasformerebbe in grassi, dovremmo essere semplicemente più attenti a variare strategicamente la nostra alimentazione, incrementando la percentuale di carboidrati e conseguentemente riducendo quella di grassi e proteine, in modo da lasciare inalterato il numero complessivo di calorie.
Il giorno prima della gara, invece, tra colazione e pranzo, dovremmo mangiare un po’ di più, per integrare quelle scorte che ci permetteranno di percorrere gli ultimi 12 chilometri, visto che anche con un buon allenamento, le riserve naturali permettono un’autonomia intorno ai 30 chilometri e non di più.
Per un atleta di peso normale, l’integrazione necessaria sarà di 600-800 kcalorie; in pratica due o tre fette di crostata (fatta in casa). Anche un ulteriore piatto di pasta, la sera, non guasterà, ma senza esagerare, né in quantità nè in condimento.
La mattina della gara, è necessario fare colazione almeno tre ore prima di iniziare il riscaldamento pregara, perché il meccanismo di trasformazione dei carboidrati in glicogeno richiede un certo tempo e il riscaldamento, che è pur sempre un'attività fisica, sia pure blanda, rallenta il processo digestivo.
E’ meglio evitare il latte, che non è facilmente digeribile e preferire thè con fette biscottate o pane e miele o marmellata (sempre senza esagerare).
Un’ora prima della gara, io sono abituato a bere un caffè. Chi non è abituato, non lo faccia; può provocare fastidiosi disturbi intestinali. I tecnici dicono però che agevoli il metabolismo degli acidi grassi. Sicuramente aumenta pressione e battito cardiaco e, se ce ne fosse bisogno, fornisce un’ulteriore carica prima della partenza.
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